
L.Romano: Salve Dott. Cianciullo sono Ludovica Romano e la mia domanda è com’è stata comunicata finora l’economia circolare in Italia?
A.Cianciullo: Buonasera a tutti, la risposta è che se ne è parlato tardi e in maniera lacunosa. Dal punto di vista della quantità, in realtà, le cose si sono rimesse al pari perché c’è stato un progressivo aumento, a partire dal biennio 2014-2015. Nel 2014 il tema irrompe al World Economic Forum di Davos, poi a fine 2015 arriva il pacchetto dell’economia circolare promosso dalla Commissione Europea. Questo pacchetto ha un nome evocativo, l’anello mancante, perché in effetti mancava, questo per le stesse ragioni per cui la qualità lascia ancora a desiderare. C’è un ritardo culturale che assorbe tutta la tematica dell’ambiente. Se pensiamo al libro “Primavera silenziosa” di Rachel Carson risalente al 1962, che intravide già all’epoca quello che sarebbe successo nei campi per l’overdose di pesticidi, ma anche, “Il cerchio da chiudere”, altro libro del 1971 di Berry Commoner sull’economia circolare. Siamo ben lontani, agli anni 60’-70’ del secolo scorso. Ci è voluto tanto tempo per capirlo, troppo. Oggi si comincia a capirlo meglio, a parlarne di più, però c’è ancora un “ma”, e questo “ma” è che l’energia, di cui si è già parlato prima, che è l’altra gamba della sostenibilità, è un tema più maturo, è più radicato ormai dell’opinione pubblica. La questione dell’economia circolare deve ancora sfondare il muro dell’attenzione, deve essere colta nella usa essenza. Non è soltanto uno slogan, è una maniera di ripensare il ciclo delle merci per renderlo più vicino ai singoli e all’equilibrio degli ecosistemi. Serve ad aumentare il lavoro, a migliorare l’economia e soprattutto a farla durare nel tempo.
C.Baccigotti: Salve, la mia domanda invece riguarda i social media. Volevo chiederle che ruolo hanno avuto i social nella comunicazione dell’economa circolare finora e che ruolo potranno avere in futuro, secondo lei?
A.Cianciullo: Per la verità sarebbe più facile rispondere a questa domanda sui media tradizionali perché ci sono più dati. Io mi sono anche divertito a fare un conteggio. Ho preso l’Ansa, per esempio, e la prima espressione di economia circolare appare soltanto nel 2003, una volta, poi nel 2005 un’altra volta, sei volte nel 2012, quattro nel 2013, e poi dal 2015 in poi c’è l’impennata. Quindi non andiamo bene con i media tradizionali. Sui social siamo un po’ più recenti e naturalmente la moltiplicazione delle piattaforme comunicative è un segnale di speranza, è la possibilità di avere una comunicazione che lavora in orizzontale, un po’ come l’energia rinnovabile che si sviluppa in orizzontale invece che in verticale e in questo senso il principio della democrazia è immediato, balza evidentemente agli occhi. Però sappiamo bene che oggi c’è anche un’altra possibilità, quella legata all’uso dei centri di potere occulti, più occulti di quelli dei media tradizionali, perché quest’ultimi hanno un proprietario che può essere facilmente identificabile. Invece chi paga i motori di ricerca per seminare sciocchezze pilotate, che hanno un senso, non sono un errore, queste centrali di potere economico e talvolta politico, spesso geopolitico, svolgono un ruolo drammatico nell’evoluzione delle cose. L’esempio più clamoroso è durante le elezioni americane che hanno portato Trump alla Casa Bianca e che, come è noto, sono state alterate dal lavoro di questi Bot, di questi software che pilotano certe tesi. La questione ambientale è una delle tesi su cui c’è stato molto lavoro sporco. La speranza è che ci sia tanta gente che entra nei social, che crede sia possibile dare un contributo e l’insieme di questi singoli contributi può fare la differenza. Quindi io direi che la partita dei social è ancora tutta da giocare.