
Giuseppe Costa, Professore di Salute pubblica all’Università di Torino, intervistata da Agnese Rossi e Natasha Pirrello “Marketing Sociale APS”
Agnese Rossi: Buonasera, è vero che chi è più povero si ammala di più e muore prima? Perchè?
Giuseppe Costa: Sì, è vero. Questo è vero un po’ dappertutto, anche nel mondo occidentale ricco e sviluppato. La storia che si usa di più per raccontare questa vicenda è quella della metro, o del tram, che attraversa Londra, Parigi, Washington, Glasgow, Torino.
Se lo guardate a Torino la cosa è molto chiara: per chi di voi non conosce Torino, a destra ci sono le colline più ricche, poi subito dopo il centro urbano più benestante, a nord e a sud ci sono invece i quartieri operai più poveri. Quello che è descritto nella mappa è la distribuzione del diabete, la frequenza del diabete di tipo 2 a parità di età: se voi prendete il tram dalla collina ricca di destra per andare verso il quartiere povero di sinistra, su cento persone che salgono sul tram in collina ce ne sono appena quattro che hanno il diabete, mentre man mano che attraversate la città i diabetici salgono a cinque, sei , sette , fino ad arrivare ad otto su cento nel quartiere più povero. E la stessa cosa vale per la gran parte delle malattie, per le broncopneumopatie croniche ostruttive, per la salute mentale, per lo scompenso cardiaco, per l’infarto.
Dunque, le nostre città sono divise da probabilmente trenta/quarant’anni di storie di progressi di salute che separano le aree più ricche da quelle più povere. In quelle più povere ci stanno persone con minor reddito, con minor livello di istruzione, con minori reti sociali, con minor controllo sulla propria vita. Quindi quando lei mi chiede perché capita questo, capita perchè il grado di controllo che le persone hanno sulla propria vita fa la differenza, nel senso che le persone che sanno che cosa succederà a sé e ai propri familiari la settimana prossima, il mese prossimo, l’anno prossimo, fra dieci anni, probabilmente anche alla prossima generazione, sono persone che sono più sicure di sé e hanno meno influenze negative sulla salute. Perchè fanno le scelte di vita giuste, più salubri, perché sono meno sottoposte ai fattori di rischio, perché riescono ad arrivare agli aiuti che sono necessari per curarsi, eccetera. Le persone che hanno meno controllo sulla propria salute, sul proprio destino di vita in termini di risorse, di capacità di aiuto, sono quelle che sono più vulnerabili.
Natasha Petrini: Buonasera, si possono ridurre queste disuguaglianze di salute?
Giuseppe Costa: Sì, questa è la seconda domanda importante, perché noi abbiamo visto quali sono i meccanismi, che noi conosciamo e abbiamo visto, per cui si è così diversi da un lato all’altro della città. Nel senso che questo svantaggio nel controllo sulla propria vita è strettamente legato a meccanismi come le disuguaglianze nell’esposizione a dei fattori di rischio ambientali, nella casa, fattori di rischio materiali, rischi lavorativi, a stili di vita pericolosi, a barriere all’accesso alle cure. Sono tutti meccanismi che possono essere contrastati da un programma di prevenzione, da un programma di assistenza, da interventi sulla casa, da politiche redistributive. Ognuno di questi meccanismi è potenzialmente modificabile, magari non tutto, una parte, questo vuol dire che le disuguaglianze possono essere solo mitigate, non completamente cancellate, però quello che è importante è che se noi identifichiamo i meccanismi sappiamo anche chi sono i centri di responsabilità che stanno dietro a questi meccanismi, e quindi automaticamente sappiamo identificare a chi consegnare in mano la responsabilità di cambiare le cose. Cioè, indossare queste lenti dell’equità per leggere la distribuzione della salute, automaticamente responsabilizza le persone che possono diventare soggetti del cambiamento, per introdurre quelle innovazioni che servono a mitigare queste disuguaglianze.